Artifici by Claire Berest

Artifici by Claire Berest

autore:Claire Berest [Berest, Claire]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


Mila

32.

se rimanere

Nella notte, con l’aiuto fattivo per quanto incerto di Fëdor, Mila aveva detto addio al suo imene, ormai diventato ingombrante. Era il 14 luglio del 2000, era a Parigi, aveva diciassette anni. Tutte le parole che le venivano erano in russo e avevano il succo romantico e tragico di una canzone d’amore. E qualcosa le suggeriva un remake delle 120 giornate di Sodoma. Era trionfante, si sentiva liberata, come appena rinata. Il tutto era durato non piú di quindici minuti e l’atto in sé si poteva contare giusto in una decina di febbrili spinte col bacino da parte del complice, cosí amabilmente sprovvisto di accortezza e perizia. Ma quel respirare insieme, tovarich!, era come il vento del mare aperto.

Come una dea appena diventata consapevole dei propri poteri, si era alzata lasciando Fëdor alla sua sonnolenza per andare a fumare una sigaretta sul balcone della zia di Rose, Mila che non fumava mai. Mila che aveva appena fatto l’amore per la prima volta.

E le sembrava che fosse la cosa piú appropriata da fare in quel momento, fumare una sigaretta. Aveva trovato un pacchetto di Lucky Strike pieno a metà sul pavimento, aperto in malo modo e forse anche per questo provocante, mentre si muoveva scavalcando i corpi acerbi spiaggiati un po’ dappertutto in quell’appartamento perfetto ed estraneo, quadro materico della tregua inerte di un baccanale. Sul balcone, si era chiusa nelle spalle per proteggere la fiammella capricciosa dell’accendino e poi, senza fretta, aspirando corpose boccate di fumo, aveva amato e interrogato il proprio corpo nudo, corpo desiderato e inquietante, in uno sdoppiamento sconvolgente del corpo maltrattato dell’artista Marina Abramović.

Come ben documentato nel film, all’inizio della performance di Marina Abramović, e per almeno le prime tre ore delle sei complessive, gli spettatori sono intimiditi e divertiti. Benevoli, curiosi. Portano una rosa a Marina, perché sono lí per fare qualcosa, per agire su di lei, per vedere cosa succede. Le danno un bacio sulla guancia, la stringono tra le braccia. Alcuni s’incanagliscono blandamente, simili a passeri del tutto innocui che non sanno quanto possa pungere il loro becco. Sbalorditi da quella bambola viva e passiva, gli spettatori, ancora ligi al patto di civiltà, le rivolgono gesti moderati o persino dolci come coccole. Per venire meno a quel patto, hanno bisogno di un po’ di tempo.

Col passare delle ore, la performance di Marina Abramović prende una piega diversa. Lei non reagisce; non reagisce affatto. Come promesso. Bene… Gli spettatori le tagliano il vestito con le forbici, i suoi seni nudi appaiono come fari, o come le luci splendenti di Rimbaud tra quelle artificiali della galleria napoletana. Le fanno un taglio sul collo, un uomo beve il suo sangue succhiandolo direttamente dalla pelle. La palpano, la maneggiano, la scuotono, la stendono sul tavolo con le gambe divaricate. Un uomo pianta un coltello sul legno del tavolo, vicino all’inguine. La cospargono di cibo. Surriscaldati, gli spettatori si dividono in due campi, come si fa d’istinto in ogni guerra: quelli che vogliono proteggerla e quelli che vogliono abusare di lei.



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